Ci sono persone che dicono che pagare le tasse sulle vendite fatte su Vinted sia giusto. Scrivo questo post per dimostrare quanto sia miope questa visione: non vogliatemene, ma sono una che prende molto sul serio due cose: il fisco e i problemi legati al consumismo dell’industria della moda.

Bradipa e fisco: la mia posizione globale

Facciamo una prima premessa: io sono freelance, eppure non mi sono mai lamentata delle tasse (tranne, lo ammetto, quando sono finita al pronto soccorso o in ospedale: purtroppo nella mia regione ci sono stati molti tagli, e in pratica le tasse vengono pagate per niente. Faccio un solo esempio: prenotare un qualsiasi esame nel pubblico se non hai un braccio staccato dal tronco è impossibile, non ti mettono nemmeno in lista d’attesa. Se hai soldi vai tramite privato, altrimenti ciccia).
Pago e ho pagato le tasse su tutto, comprese le ripetizioni che davo alle superiori (il commercialista dei miei mi prende ancora per i fondelli). Mi dà fastidio la pressione fiscale in Italia? Sono freelance, era una domanda retorica, vero? Tuttavia non penso che il nero sia la soluzione, anzi: la possibilità di non pagare senza grosse conseguenze secondo me inibisce le sacrosante proteste.

Davvero devi pagare le tasse su quello che vendi su Vinted?

Sì: se superi le 30 vendite e/o i 2000 euro di guadagno Vinted ti segnala all’Agenzia delle Entrate che viene a riscuotere il dovuto in virtù di una cosa che si chiama Dac7, se ti interessa googlalo e ti si aprirà un (triste) mondo. Quant’è il dovuto nel tuo caso? Non ne ho idea, non sono una commercialista. Posso dirti quanto è nel mio caso, perché ho chiesto alla mia commercialista: il 20% di ritenuta. È la stessa cifra che io pago sui proventi derivati dalle affiliazioni (per esempio dalla vendita di preset fotografici) e in quel caso lo trovo giusto. È un reddito passivo, non investo soldi né tempo per ottenerlo, e anche se sono piccolissimi importi mi fa piacere che una parte possa essere usata, in teoria, per i servizi essenziali.

Chi dovrebbe pagare le tasse su Vinted

Che poi io scrivo “Vinted”, ma ormai funziona così ovunque (tranne sul marketplace di Facebook che come sappiamo delle tasse gliene importa poco, e non so a te ma a me urta). E fino a un certo punto sono d’accordo con i sostenitori della cosa: ci sono persone che per anni su Vinted hanno svolto un’attività professionale senza dichiararla (perché le attività commerciali, per esempio in Francia, erano già regolarmente tassate, mentre in Italia non si poteva vendere come azienda su Vinted). Quindi cosa facevano? Quando usciva una collezione di un grande stilista per Zara o H&M compravano subito un sacco di capi uguali (e forse non stavano nemmeno al pc, lasciando questo ingrato compito a bot che lo facevano in automatico) e, quando la collezione era esaurita, cioè praticamente subito, vendevano i capi al doppio del valore. È il libero mercato, bellezza: possono farlo (in generale, su Vinted in teoria no) e sicuramente qualcuno quelle cifre le paga. Ecco, in questo caso siccome hanno dei ricavi molto alti, è giusto che paghino le tasse.

Dove vanno a finire i vestiti usati

La maggior parte dei venditori su Vinted, però, non sono persone di questo tipo. È gente come te e me, che da giovani e immaturi hanno comprato un sacco di vestiti, poi hanno cominciato a informarsi sull’impatto ambientale, hanno scoperto che i vestiti che davano alla Caritas non andavano ai poveri e che in generale gli abiti usati finivano per lo più in pile di spazzatura in Africa che quando gira male prendono fuoco (nel 2019 l’Europa ha esportato 1,7 milioni di tonnellate di abiti usati. Pensi davvero che ai poveri servano tutti questi vestiti?).
Ecco, queste persone hanno trovato in Vinted e in generale nel second hand un modo etico per fare decluttering. Perché, sia chiaro, la maggior parte di noi su Vinted non fa grossi guadagni. Certo, fa piacere avere qualche soldo da investire sulla app (sì, devi pagare le tasse anche se li spendi subito senza che Vinted mandi i soldi sul tuo conto in banca), o scambiare qualche colazione golosa con i vestiti che vendi sottocosto, ma stare dietro a Vinted è un’attività che prende molto tempo tra foto, spedizioni e risposte ai messaggi che spesso si risolvono in un nulla di fatto. Da freelance sarebbero ben altre le attività che implementerei per guadagnare di più. Senza contare che, come dicevo in un altro articolo, se vuoi vendere bene devi sponsorizzare il tuo armadio, e non costa poco. Peccato che tu paghi anche le tasse su quei soldi che non vedrai mai, perché se li intasca Vinted.

Perché non è eticamente giusto pagare le tasse su Vinted

Dal paragrafo precedente, avrai senz’altro capito che a me vendere su Vinted non conviene più come prima. Mettiamo caso che io venda un trench a 15 euro (che all’acquirente costa di più, tra spese di spedizione e protezione acquisti). Pagate le tasse, mi entrano 12 euro. Neanche male in teoria, giusto? In fin dei conti ho il punto di spedizione vicino, per fare le foto e caricarle impiego 15 minuti, quindi diciamo che con due vendite prendo 24 euro netti in un’ora. Molto meno di quello che prendo con il mio lavoro, ma visto che non lo faccio (solo) per i soldi va bene così.

Peccato che la media degli articoli che vendo (vendevo) su Vinted non costa 15 euro. Ho messo in vendita t-shirt scrause a 2/3 euro (scrause non nel senso di “rotte”, ma cose in tinta unita che mai mi sarei aspettata di vendere), ammortizzando i “costi temporali” perché grazie alle sponsorizzate facevo anche 5/6 spedizioni a settimana tutte insieme e andava benissimo: quella maglietta che intasava il mio armadio e la mia vita ha fatto felice qualcun altro, che magari la usa, invece che andare a rimpinguare pile di spazzatura in Africa come avrebbe fatto se l’avessi buttata. Ora però che succede? Sponsorizzare non ha più molto senso, e con 90 follower raramente mi capita di fare più di una spedizione a settimana. Su 3 euro le tasse ammontano a 60 centesimi, quindi io guadagno 2.40 euro per mezz’ora di lavoro. 4.80 all’ora. Più il tempo per rispondere a eventuali domande sul capo. Capite che a quel punto la maglietta da 3 euro “la dono ai poveri”. E andrebbe anche bene , visto che è in perfette condizioni. Ma se avete letto gli articoli (consiglio anche l’illuminante lettura di Il lato oscuro della moda – Viaggio negli abusi ambientali (e non solo) del fast fashion di Maxine Bédat) avrete già capito che no, quei vestiti non arriveranno ai poveri, ma andranno a infoltire la pila di spazzatura in Ghana.

Bastava così poco…

Ora, come avrai capito, economicamente questa cosa delle tasse a me cambia il giusto. Metterò sicuramente in vendita meno articoli, selezionando solo quelli che posso vendere da 7/8 euro in su, e smetterò di sponsorizzare l’armadio. Quello che mi dà fastidio è che così io, e tutti quelli che hanno il feticcio di fare calcoli quando si parla di soldi, torneremo di prepotenza a fare parte del problema dello smaltimento di rifiuti dell’industria del fast fashion. Alla fine quello che guadagna lo Stato dalle tasse di quelli che vendono 200/300 euro all’anno su Vinted lo perde nello smaltimento dei rifiuti di chi come me smette. Bastava mettere un limite solo economico (parliamoci chiaro: se non sei già ricco fare più di 500 euro all’anno su Vinted è quasi utopico, e se sei già ricco forse non vendi su Vinted, a meno che non lo fai per business) e non sul numero delle vendite (se vendi 30 magliette a 3 euro ne guadagni 90, di cui 18 vanno allo Stato: non mi pare sia una cifra così irrinunciabile, anche se sarei curiosa di sapere esattamente quanto gli costa smaltire 30 magliette finite tra i rifiuti, se qualcuno avesse una fonte affidabile può scriverla nei commenti?)

Nel frattempo a me sembra solo l’ennesimo provvedimento figlio di un orizzonte temporale di sei mesi, che ignora l’emergenza in cui ci troviamo tra inquinamento, sfruttamento e mancanza di risorse. Nel frattempo se vuoi venirmi a trovare sul mio (d’ora in poi selezionatissimo) armadio Vinted io ti aspetto!

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